randi successi in sala, trionfi mediatici, molte polemiche, ma soprattutto uno stile raffinato che fece volare alto il cinema italiano ai botteghini mondiali.
Franco Zeffirelli è tutto questo, ma principalmente è un uomo, un regista, uno strumento capace di certe "illusioni", ma non di quelle cattive, bugiarde. Di quelle, che sanno ingannare lo spettatore grazie alla perfezione creata tramite l'accuratezza di scenografia e costumi. Terribilmente votato alla forma, anche quella più violenta e oscura, trova la sua forza nell'eleganza visiva e narrativa, colmando non tanto ciò che mancava nel cinema italiano, ma proseguendo, a modo suo e con i suoi numerosi limiti, una tradizione d'autore. Bella o brutta essa sia.
Il suo cinema, chiaramente, è un'altra cosa e non è minimamente paragonabile a quello ereditato dal suo mentore e amante Luchino Visconti, Handbags ma è comunque un evento. Perchè tutti ne parlano e perchè la sua strategica pomposità ne fa parlare ancora di più.
Mai diverso da ciò che è, vicinissimo a una narrazione aggraziata ma poco fluida, è tutt'uno da sempre con il suo corpo bianco e dorato, con il suo pensiero politico ispido e la sua fede narcisista. Un individuo illusorio che vuole essere protagonista dei suoi film e ruba spazio ai propri attori, dagli esordienti a quelli più magnifici (che prima di conoscerlo si sono già spartiti tutti i premi possibili e immaginabili).
Anche quando non sta dietro la macchina da presa o davanti a un palcoscenico, il suo nome ritorna ancora più imponente con scioccanti dichiarazioni sulla sua anomala vita, nella quale lui insinua una lettura esclusivamente politica.
L'insofferenza è tutta verso la patria, questa Italia che lo snobba per la scelta di diventare anche figura politica e per la tristezza di certe sue affermazioni sociali. Il salto fra il regista e l'uomo è forte ma lui continua a essere l'icona della Destra che si compenetra nella carne di uno dei peggiori uomini di politica della Storia Italiana, ma senza farlo entrare, neanche per galanteria, nella propria ossessione.
Che cinema italiano è questo di Zeffirelli? È un cinema mutante, è un cinema senza una vera identità italiana, ma che abbraccia invece la dimensione internazionale, almeno per sua natura produttiva/creativa. Non può fare a meno della letteratura, delle opere liriche, della parola scritta da altri, perchè ne ha assimilato i comportamenti e di conseguenza l'ha ridotta a una fila di scena illuminate da fulgidi bagliori del grande e del piccolo schermo. E tutti, critici e pubblico, a spaccarsi, ad accanirsi o ad apprezzarlo per certe scelte di soggetto o per suggestive scene realizzate.
Non c'è da scandalizzarsi, perchè un certo cinema è fatto così, è fatto di buoni film puliti e più o meno profondi, si nutre di soprassalti visivi, di scardinamenti improvvisi della cinepresa, di folli passioni, di sinistre e antiche preoccupazioni che, a volte, in alcuni casi, è lecito sperare che si realizzino.
Dare un nome al cinema di Zeffirelli
Anche questo è Zeffirelli e chiaramente anche questo sono i suoi migliori film (Romeo e Giulietta, Fratello Sole, Sorella Luna, Amleto, Jane Eyre), dove nonostante le battute fulminanti e proverbiali del Bardo o di una delle più grandi scrittrici dell'Ottocento, non ci è mai stato veramente dato un cinema che ha parlato per bocca sua, perchè lì dove lo ha fatto (Un té con Mussolini, Callas Forever) ha ottenuto risultati dolentissimi, nevrotici, che hanno portato a spietate (ma giuste) critiche che non tolleravano il lasciarsi guidare dalla sua visione storica, dai suoi luoghi comuni e dalla volontà di non declinare diversamente un certo tipo di narrazione.
A sorpresa, il cinema di Zeffirelli è anche e soprattutto un grande cinema d'amore. L'amore che si spegne, che si lacera, fino a quando non finisce tutto così, intensamente, dolorosamente. L'esasperato addio dei due amanti di Verona, il bello squarcio di Amleto verso Amleto stesso, il momento in cui Rochester segue con lo sguardo la sua Jane Eyre, studiandola teneramente. Perchè anche se queste storie sono conosciute e straconosciute, non si può esaurire la memoria del sentimento che riaccendono nello spettatore.
Per questi motivi, lo stile di Zeffirelli non esisterebbe senza la forte emotività di attori come Mel Gibson, Charlotte Gainsbourg, Olivia Hussey, Valentina Corteseche appaiono di volta in volta buffi, aggraziati, straziati e strazianti.
Quindi, nelle mani di Zeffirelli, il cinema diventa "a servizio" di opere liriche, teatrali e letterarie che sul palcoscenico sono acclamate, ma che passando nel mezzo cinematografico generano pareri discordanti. Non c'è un vero significato globale nel suo lavoro, a parte la forma e la pienezza dello stile, ma anzi ci sono l'incertezza e l'instabilità di un vero e proprio messaggio, dei valori morali labili (a differenza della pienezza di quelli estetici) e un silenzio cocente che diventa rumore solo quando si parla di se stessi. Eppure proprio il cinema ha dedicato un ruolo affettivo importante nella sua vita. L'ha toccato, l'ha superato, l'ha tenuto aggrappato fisicamente alle sue pellicole dai titoli suadenti (Amore senza fine, Il giovane Toscanini, Storia di una capinera), lo ha persino preservato lontano da sapori forti e volgari trasmessi dalla televisione.
Quindi, purtroppo, in un mondo cinematografico come questo che è triturato dall'esigenza di dover dire qualcosa, la patina della semplice trasposizione narrativa zeffirelliana è una grave pecca.
Infanzia e studi
Nato fuori dal matrimonio da un commerciante di stoffe (Ottorino Corsi) e dalla sua amante (Alaide Garosi), fu abbandonato da bambino e venne affidato all'Orfanotrofio Innocenti. La madre, appassionata di Mozart, aveva deciso di mettergli come cognome Zeffiretti ma, per errore, l'impiegato dell'anagrafe lo trasformò in Zeffirelli. Nella sua infanzia, segnata dalla prematura scomparsa della madre e dal mancato riconoscimento paterno (che avvenne solo quando aveva 19 anni), segnano un importante ruolo formativo una comunità di vecchie signore inglesi trasferite a Firenze, che gli insegnarono le lingue straniere e Shakespeare, e il suo istitutore nel collegio del Convento di San Marco, Giorgio La Pira, che lo spinse a frequentare l'Accademia di Belle Arti, grazie alla quale comincerà a lavorare come scenografo nel secondo dopoguerra.
La storia d'amore con Visconti e gli inizi della carriera
Omosessuale, dopo aver curato la scenografia di "Troilo e Cressida" diretta dal grande cineasta Luchino Visconti, ebbe con lui una lunga, passionale e burrascosa relazione. La vicinanza sentimentale e le comuni passioni, lo spinsero ad avvicinarsi al mondo del teatro e del cinema, tanto da diventare suo assistente regista (assieme a Francesco Rosi) in entrambi i campi (fra l'altro si cimenterà anche come attore in un piccolo ruolo nel film con Anna Magnani L'onorevole Angelina del 1947).
Zeffirelli è accanto al Maestro quando sta dirigendo La terra trema, Bellissima e il suo capolavoro Senso (ma anche accanto ad Antonio Pietrangeli in Il sole negli occhi, del 1953 ) e, approfittando di questo rapporto, Zeffirelli trova la propria indipendenza economica e la definitiva strada professionale, che lo potertà a rompere la storia d'amore con Visconti e a mettersi completamente al servizio della lirica e di Maria Callas come suo regista. Sono gli anni in cui cura "L'Italiana in Algeri", "La Cenerentola", "L'elisir d'amore", "Il Turco in Italia", "La Cecchina, ossia La buona figliuola", "Mignong", "Don Pasquale", "Manon Lescaut" e "Lucia di Lammermoor".
Il prestigioso successo come regista lirico
Alla fine degli Anni Cinquanta, Zeffirelli è quindi "IL" regista del più grande soprano della Storia della Musica. La segue a La Scala di Milano, alla Metropolitan Opera e al Lincoln Center di New York, a Dallas, a Londra e Parigi, mettendo in scena "La Traviata" (1959), "Tosca" (1964) e "Norma". Ma non tutte le rappresentazioni sono apprezzate dalla critica che contro Zeffirelli, a volte, innalzano un unanime muro di pareri avversi. Lo si ricorda anche per un "Romeo e Giulietta" con Giancarlo Giannini nei panni di Romeo e di Ave Ninchi in quelli della nutrice.
Il debutto cinematografico
Nel 1957, Zeffirelli si dà al cinema e dirige la commediola Camping, che verrà derisa dalla critica italiana con queste parole: "un film che non meriterebbe neppure l'onore della citazione"; "classico film senza capo né coda, che potrebbe non finire mai e potrebbe pure non essere mai cominciato (ipotesi, questa, assai preferibile)"; e "tanto è sgangherato e casuale, oltre che grossolano".
I film shakespeariani
Seguirà un adattamento della commedia shakespeariana de "La bisbetica domata" con Elizabeth Taylor e Richard Burton come protagonisti. Il film ottiene un notevole successo e lo incoraggerà, l'anno seguente, ad adattare una seconda opera shakesperiana per il grande schermo: Romeo e Giulietta, con i nuovi volti di Leonard Whiting e Olivia Hussey. Replica Per la prima volta nella storia del cinema, un regista ha preso attori con l'effettiva età dei ruoli scritti dal Bardo (diciassette anni lui e quattordici lei). La musica di Nino Rota contribuì a rendere questo film il suo più grande e raffinato capolavoro, nonché il più importante successo della sua carriera. Anche alla luce del fatto che ottenne ben quattro candidature all'Oscar, vincendo però solo due statuette (miglior fotografia e migliori costumi).
Documentari e ancora teatro
Nel 1966, realizza il documentario Per Firenze, incentrato sulla storica alluvione fiorentina e con la voce narrante di Richard Burton. Chiaramente, non ha mai messo da parte il teatro e impreziosisce la sua carriera con la regia di "Le astuzie femminili", "Lo frate 'nnamorato", "Aida", "Rigoletto", "Falstaff" e "I puritani". Ma è anche con altre opere del teatro che verrà celebrato in Italia e nel mondo. Si parlò tantissimo del suo "Amleto" con Giorgio Albertazzi, del suo "Chi ha paura di Virginia Woolf?" con Enrico Maria Salerno e una superba Sarah Ferrati, ma soprattutto della sua "La lupa" con il Premio Oscar Anna Magnani.
Le opere religiose
Nel 1970, realizza due opere di ispirazione religiosa. La prima è Fratello Sole, Sorella Luna, incentrato sulla vita di San Francesco d'Assisi e con un cast che comprendeva l'esordiente Graham Faulkner, Alec Guinness, Valentina Cortese, Adolfo Celi e Carlo Pisacane. Un film che, sebbene non privo di difetti, ha un valore estetico altissimo, soprattutto nel rapporto del famoso santo con il Creato. Legame che nella regia di Zeffirelli viene portato all'apice della perfezione scenica. La seconda è la miniserie Gesù di Nazareth, che aveva un cast ancora più impressionante del primo: Robert Powell, Laurence Olivier, Rod Steiger, Christopher Plummer, le ritrovate Olivia Hussey e Valentina Cortese, Anne Bancroft, Ernest Borgnine, Anthony Quinn, Michael York, James Mason, Ian McShane, Claudia Cardinale, Peter Ustinov, Ian Holm, Donald Pleasence, Fernando Rey, Ian Bannen, Marina Berti, Regina Bianchi, Maria Carta e Renato Rascel. Come riuscì a permettersi una produzione con così tante star e, quindi, così costosa? La risposta è nel Vaticano. La serie tv fu infatti finanziata nientemeno che dallo Stato Pontificio, su esplicita richiesta di Papa Paolo VI, andando incontro a un notevole successo. Si parla di ben 27 milioni di spettatori solo in Italia e di 2,5 miliardi in tutto il mondo. Fiero di questo grandioso risultato, Zeffirelli non mancherà di criticare un giovane cineasta ben più grande di lui, il Maestro Martin Scorsese, che nel 1988 firmerà L'ultima tentazione di Cristo, etichettando la scandalosa e controversa pellicola come "un puro prodotto del caos culturale ebraico di Los Angeles che sfrutta ogni occasione di attaccare il mondo cristiano".
I mediocri Il campione e Amore senza fine
Alla fine degli Anni Settanta, trasferitosi definitivamente a Hollywood, dirige Il campione con Jon Voight e Faye Dunaway e Amore senza fine (che segna l'esordio di Tom Cruise). Due mediocri melodrammi che verranno accolti freddamente.
La lirica al cinema e il pessimo Il giovane Toscanini
Durante tutti gli Anni Ottanta, visto l'insuccesso, ritorna ai generi che più gli si confanno, l'opera lirica e Shakespeare, ma traspondendoli per il grande schermo. Escono così La Bohème (1982), Pagliacci (1982), Cavalleria Rusticana (1982), La traviata (1983), Otello (1986), fino al peggiore di tutti: Il giovane Toscanini (1988). Sommarietà del tratteggio psicologico e della cornice storica, modestia dell'impalco drammaturgico, pochezza dell'ispirazione globale, banalità degna d'un romanzo rosa, retorica dei dialoghi e della messa in scena. Furono questi i principali motivi che spinsero pubblico e critica a disertare un film definito "troppo intriso di melassa" e "un capitombolo di Zeffirelli".
Il buon esito di Amleto
Fortunatamente, si riprenderà negli Anni Novanta, quando sceglierà un sorprendente Mel Gibson nel ruolo di Amleto nell'omonimo film e una giovanissima Helena Bonham-Carter in quelli di Ophelia, ma senza dimenticare una eccelsa Glenn Close nei panni della Regina Gertrude. Nonostante la pesantezza dei dialoghi, non del tutto fedeli all'autore e anzi modernizzati per le orecchie del pubblico, l'Amleto di Zeffirelli è coinvolgente e incredibilmente apprezzato dagli spettatori che si lasciano trascinare dalla storia e ne vengono sedotti sia dal punto di vista visivo, che dal punto di vista narrativo.
Gli ultimi flop
Si staccherà dalle opere teatrali nel 1993 con una sciagurata versione di Storia di una capinera, ma si riprenderà con la trasposizione del romanzo di Charlotte Brontë, Jane Eyre, scegliendo Charlotte Gainsbourg come protagonista. Qui, la critica si spezza. C'è chi è a favore e chi contro, ma il film viene comunque amato dal pubblico che non riesce a trattenere la propria empatia per Jane e apprezza l'esaltazione degli elementi gotici che, visivamente, Zeffirelli mette in atto con estremo rigore. È il suo ultimo successo, visto che il risultato dell'autobiografico Un tè con Mussolini non è particolarmente lodevole (malgrado la presenza di un incredibile cast femminile), né lo è quello del biopic Callas Forever con Fanny Ardant e Gabriel Garko si rivela essere un flop del 2002.
Politica e pensiero omosessuale
Fortemente legato al mondo della politica, a differenza del suo primo amore e mentore, Luchino Visconti, che era legatissimo al Partito Comunista Italiano, Zeffirelli abbraccia invece la Destra italiana e, in particolare, Silvio Berlusconi (suo grande amico) e il berlusconismo, tanto è vero che sarà eletto senatore nel 1994 con il partito Forza Italia e poi rieletto nel 1996.
Il 24 novembre 2004 la Regina Elisabetta II lo nominerà Cavaliere Commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico (KBE). Nonostante sia omosessuale, non è particolarmente gradito alla comunità gay italiana e internazionale dopo aver dichiarato di non apprezzare nessun movimento dei diritti civili lgbt, in quanto «l'omosessuale non è uno che sculetta e si trucca. È la Grecia, è Roma. È una virilità creativa».